Disagio psicologico da una causa misconosciuta

 

 

GIOVANNA REZZONI & MONICA LANFREDINI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 05 marzo 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO/DISCUSSIONE]

 

Introduzione. Nelle lettere d’amore, secondo l’interpretazione freudiana classica, operano due meccanismi psichici inconsci: lo spostamento, dall’oggetto della pulsione erotica al foglio, e la sublimazione di una spinta sessuale in un sentimento ideale. In passato, non sono stati pochi gli psicoanalisti che, seguendo la tesi freudiana secondo cui tutti i sentimenti provati dagli innamorati sono riconducibili alla pulsione sessuale, hanno rilevato che lo spostamento e la sublimazione appaiono in molte altre circostanze della vita amorosa, non solo nell’occasione epistolare. Gli studi sull’innamoramento – peraltro liquidato da Freud come “prototipo della psicosi” – condotti negli ultimi decenni del Novecento hanno evidenziato come nella realtà dei sentimenti provati da uomini e donne, dall’antichità classica ai giorni nostri, non tutto può essere ricondotto al desiderio sessuale. In un esercizio di interpretazione in chiave psicodinamica, il nostro presidente ha definito l’innamoramento, con una formula semiseria, una “malattia identificativa” per evidenziare la componente inconscia ma potente di identificazione con la persona amata e rendere conto di come l’ipotetico portarla nel proprio Io possa spiegare la sofferenza simile a un lutto per la perdita della presenza simbolica dell’altro nella propria vita psichica.

Le pene d’amore[1] sono sempre state oggetto dell’attenzione psicopatologica e clinica e, anche se non ritenute degne di un posto nella nosografia psichiatrica, hanno costituito e costituiscono una causa non irrilevante di richiesta di aiuto; ciò che è cambiato negli ultimi decenni rispetto a una costante che ha attraversato due millenni, dal teatro greco del IV secolo a.C. fino al prototipo del Werter di Goethe, è che gli innamorati sofferenti non sono più solo giovani o giovanissimi, ma spesso persone di età media o avanzata.

In realtà, come vedremo più avanti, l’aspetto dell’età avanzata – divenuto tanto frequente da non generare più l’effetto del ridicolo o del patetico – è solo la parte più evidente di un mutamento più profondo che ha origine nel combinarsi di spinte e tendenze ideologiche e psicologiche che risalgono al programma politico sessantottino di “distruzione della famiglia borghese” e alla “rivoluzione sessuale” che mirava a mutare il rapporto di coppia da mezzo di edificazione sociale, quale era stato in tutte le civiltà dall’inizio della storia, a strumento di soddisfazione della convenienza istintuale, assurta a diritto civile. “Questa eterogenea e non sempre consapevole corrente di azione, rimanendo attiva e mescolata alle istanze di gruppi sociali di ispirazione religiosa o culturale differente e varia, in una condizione in cui i media ogni giorno diffondono e confermano la sostituzione dell’etica con il politically correct che si esaurisce spesso in un ‘tutto è lecito tra consenzienti purché si partecipi alla festa consumistica che sostiene l’economia’, ha generato la nuova regola dell’assenza di regole in uno spazio comune svuotato di cultura e concepito come un’area per mandrie delimitata dal recinto dei codici civile e penale”[2].

Mezzo secolo di movimenti di pensiero, nati quando in Italia esisteva la “religione di stato”, aveva visto l’impegno di generazioni contro il matrimonio cristiano inteso quale sacramento – ossia patto in cui si chiama Dio a testimone di una responsabilità reciproca e verso i figli – per ottenere il diritto ateo o agnostico alla forma esclusiva del contratto civile[3].

Il cupio dissolvi della visione cristiana ha portato a distruggere aspetti dell’organizzazione psicologica della ragione e del senso dei rapporti interpersonali connessi con quella visione, senza sostituirli con una differente ma altrettanto solida nel fondamento antropologico su cui si formano le coscienze.

 

Perché la destrutturazione dei rapporti sociali, cancellando prototipi millenari, ha creato incertezze di ruolo e difficoltà psicologiche. Le rappresentazioni simboliche interiorizzate dei ruoli interpersonali e sociali, che dagli studi antropologici di Claude Levi-Strauss sui legami fondamentali di parentela abbiamo imparato a chiamare “strutture”, costituiscono riferimenti e paradigmi sui quali si modella il nostro adattamento psicologico alla realtà. Si voleva cambiare la forma dei rapporti familiari e sociali per convinzioni filosofiche, ideologiche e politiche, ma si è indebolita, e a volte distrutta, la struttura simbolica dei ruoli, senza preoccuparsi di sostituirla con una diversa[4] ma altrettanto efficace e antropologicamente fondata.

Il valore della struttura simbolica dei ruoli, senza impegnarsi in complessi studi di processi psicologici o di basi neurofunzionali della psiche umana, può essere desunto facilmente dalla semplice osservazione di alcuni dei poteri conferiti da tali strutture in rapporti affettivi di cruciale importanza per lo sviluppo, quali quelli tra genitori e figli: potere di infondere fiducia, rassicurare, conferire stabilità, certezza e serenità, oltre a supportare le risorse evocative di sentimenti positivi.

L’edificio simbolico legato ai rapporti elementari di parentela, anche nella loro relazione con i ruoli sociali della vita pubblica, lavorativa, e oggi anche mediatica, costituisce un riferimento implicito ma importantissimo per lo sviluppo dell’adattamento psicologico alla realtà del singolo e per il mantenimento del suo equilibrio. Lo si dà per scontato, come lo scheletro quando si parla di esercizio muscolare – dice il nostro presidente – ma troppi rischiano di ignorarlo. Per capire configurazione, valore e senso di questo edificio simbolico basta qualche esempio: si pensi al concetto di incesto – protetto presso i primitivi da un sacro tabù – che elimina dalla coscienza, sulla base dell’identità simbolica di consanguineo, i parenti stretti dal ruolo di potenziali partner, definendo, come in una grammatica delle relazioni, che il ruolo di genitore, fratello, sorella o zio è incompatibile con la relazione di coppia, non solo per l’aspetto in negativo dell’impossibilità, ma anche per quello positivo della specificità affettiva, relazionale e sociale di ciascun ruolo. Questo “ritagliare sagome funzionali” non attiene solo all’architettura dei rapporti umani rappresentati nel sociale, ma contribuisce direttamente, con l’apprendimento simbolico, a plasmare la psicologia individuale e a garantire l’equilibrio affettivo.

Un altro esempio è il progressivo costituirsi nel bambino della rappresentazione della propria individualità separata da quella della madre: se nelle prime fasi dello sviluppo è fondamentale il riconoscimento del sé corporeo, per la distinzione tra sé e non-sé, man mano che il bambino cresce e gradualmente si emancipa dalla diade, acquistano importanza le prerogative di ruolo (io vado a scuola, la mamma prepara da mangiare) quali attributi di identità nella loro rappresentazione simbolica. La struttura simbolica dei ruoli contribuisce anche al formarsi dell’aspettativa presunta degli adulti[5] da parte del bambino[6] e l’aspettativa del bambino stesso[7].

Sono proprio le aspettative dei bambini a rivelarci un aspetto implicito della valenza dei ruoli della famiglia tradizionale nell’edificare le strutture di adattamento psichico alla realtà: i bambini si aspettano stabilità e certezze nel rapporto tra i genitori, perché la loro relazione è simbolicamente interiorizzata a fondamento della psiche del bambino stesso. È su questo rapporto simbolico interno che il bambino comincia a modellarsi. L’armonia tra genitori che abbiano un rapporto empatico con i figli crea i presupposti per uno sviluppo ottimale e non conflittuale. La formazione della personalità richiede la stabilità dei ruoli negli adulti di riferimento. I bambini soffrono molto i genitori che vivono come adolescenti alla ricerca di partner ed hanno le priorità dei giovani che cercano di piacere e cercano il piacere; i figli più sensibili soffrono ogni atteggiamento erotico dei genitori: la ragione è che tali comportamenti, che nella soggettività di chi li assume sono esperiti come vitali e dinamici, suggeriscono ai figli precarietà, incertezza, provvisorietà, rischio, assenza di affidabilità.

Negli animali il FAP (fixed action pattern) dell’allevamento dei figli, ossia il repertorio di comportamenti geneticamente fissati, stereotipati e specie-specifici che entra in funzione dopo la nascita dei piccoli, protegge la crescita e lo sviluppo della prole. Se con iniezioni di ormoni si altera artificialmente questo programma naturale, riportando un genitore animale in fase estrale, ossia nella fase in cui cerca l’accoppiamento, smetterà di allevare la prole o lo farà poco e male, causando danni o anche la morte dei piccoli. Questa regolazione fisiologica obbligata che esiste in natura dovrebbe essere sostituita da una sua interpretazione culturale umana adatta ad affrontare una realtà che molti oggi si limitano a negare: l’assetto psico-fisico della ricerca di accoppiamento non è adatto per allevare la prole. Proprio commentando questa realtà che l’osservazione biologica ci rende evidente, il nostro presidente così si esprimeva:

“L’organizzazione tradizionale dei ruoli familiari sulla base dei legami affettivi creava una realtà di precisi riferimenti razionali, tali da offrire alla coscienza del soggetto la possibilità di guidare i propri investimenti affettivi e le proprie spinte istintive, tenendo conto di quelle degli altri e delle conseguenze sociali dei comportamenti individuali. La millenaria configurazione transculturale della famiglia basata sull’istituto del matrimonio, indipendentemente dalle ragioni religiose e culturali alla sua origine, ha costituito un impianto di ragione simbolica entro cui sviluppare l’adattamento psicologico alla realtà: una struttura che implicava priorità legate alla responsabilità sociale di supporto e tutela, non soggette alla mutevolezza di passioni sviluppate nelle menti immature o al capriccio dei desideri di inveterati autoindulgenti”[8].

In questi giorni, riprendendo e sviluppando questi concetti, Giuseppe Perrella ha notato come frammenti comportamentali e tradizionali dell’etica cristiana dei rapporti interpersonali permangano mescolati ad esiti della rivoluzione sessuale di mezzo secolo fa, a quel che resta della battaglia ideologica di due generazioni fa per l’abbattimento della famiglia tradizionale, a forme della concezione buddista dell’uomo diffuse soprattutto due decenni or sono, alla nuova morale di alcuni movimenti di gay, lesbiche e transgender che, invece di chiedere uguaglianza come in passato, cercano di imporre per legge nella scuola la loro visione dei rapporti di coppia. In questo mélange si coglie la destrutturazione di un sistema simbolico che combinava – sia pure in modo imperfetto e criticabile – la biologia con la morale e traeva la sua efficacia psicologica dall’essere sentito e considerato universale; una destrutturazione che non è stata seguita dallo sviluppo di un nuovo sistema in grado di ancorare efficacemente le dinamiche psichiche dei singoli, ma da indicazioni, tentativi di imposizione o proposte secondo modelli di comportamento privi di radici antropologiche[9].

Un sistema simbolico, come una lingua, esiste ed è efficace se è condiviso.

La superficialità imperante nella società attuale, che sembra aver sostituito la comunicazione alla formazione culturale delle personalità e ad aver collocato l’apprendimento per diventare “consumatore ideale” al posto di quello necessario all’edificazione della coscienza, ignora del tutto o trascura sistematicamente l’esistenza dietro le parole di una dimensione simbolica con potere evocativo ed efficacia psicologica[10].

Il mélange di forme appiattite sul livello comportamentale ha impoverito o svuotato di senso le parole stesse coniate dalla cultura oggi abbandonata: sposi, da sponsio, come nella locuzione spondet pro aliquo che definiva il garante o mallevadore, erano coloro che si assumevano vita natural durante la responsabilità reciproca, morale e materiale, di sostegno e supporto, in salute e in malattia, attraverso il matrimonio che sanciva l’unione dopo il fidanzamento. Fidanzati vuol dire “promessi sposi”. Il fidanzamento si è considerato storicamente un periodo di prova, di conoscenza, di verifica, quale espressione della volontà di due persone a costituire una coppia; a questa intenzione, a questo desiderio, può seguire il fermo proposito di sposarsi se i membri della coppia sono convinti della reciproca idoneità a realizzare un’unione duratura, sulla quale edificare un nuovo nucleo sociale, oppure può seguire la costatazione dell’impossibilità di attuare insieme un tale progetto. Il fidanzamento, quale condizione non legale ma dichiarata di rapporto di coppia temporaneo in vista dell’unione sacramentale, è parte integrante del matrimonio cristiano e deriva direttamente dalla tradizione ebraica[11]. Al contrario del sacramento, è dissolubile e può essere sperimentato tante volte con tante persone diverse fino a trovare la persona giusta. Si comprende come in questa visione non avrebbe senso avere rapporti sessuali, ossia compiere atti procreativi, prima di aver deciso di costituire una famiglia.

Se, come oggi accade, i rapporti sessuali non solo sono desacralizzati ma anche spersonalizzati e ridotti ad esercizio di piacere slegato dal rapporto procreativo con un’altra persona e dalla responsabilità reciproca della vita e della salute, allora si comprende che nel fidanzamento, per definizione temporaneo, si compia invece una pratica di intimità tra i corpi propria del rapporto stabile e definitivo di costituzione di una cellula familiare del tessuto sociale.

Ma la questione bio-psicologica è che i rapporti sessuali, soprattutto se ripetuti e non vissuti come vuota abitudine superficiale allo sfogo, determinano forme di investimento, ovvero costituiscono particolari apprendimenti affettivi e memorie psichiche che potenzialmente associano alcuni processi psichici a un’evocazione specificamente legata all’identità del partner, anche senza che il soggetto abbia piena coscienza del crearsi in questo modo di un legame. Ciò vuol dire che i fidanzati che si comportano da coniugi devono affrontare una potenzialità destabilizzante per la rottura del fidanzamento simile a quella che si ha con la fine di un rapporto matrimoniale[12]. È perfino superfluo sottolineare che soffre di più e deve affrontare un maggiore squilibrio adattativo chi dei due nella coppia trae maggiore nutrimento psicologico dal rapporto, che ne sia consapevole o meno.

La questione fondamentale per noi attiene alla distanza interiore o affettiva, che il nostro presidente ha definito in termini di quantità di investimento, secondo una semplice relazione di proporzione inversa: la distanza è inversamente proporzionale all’entità dell’investimento. La nostra gestione cosciente di noi stessi non può direttamente regolare gli investimenti affettivi, ossia il valore dentro di noi delle risorse psichiche che memorizziamo legandole all’identità di qualcuno o qualcosa del mondo esterno rappresentato dentro di noi: è un processo che fluisce al di sotto del livello cosciente durante le esperienze di vita. Possiamo, tuttavia, prima di vivere le circostanze reali, creare le condizioni ideali per ottenere una saggia amministrazione degli investimenti. Uno degli strumenti adatti a questo scopo – secondo il nostro presidente – è l’ottenimento della giusta distanza: una regolazione di tempi, luoghi e modi dell’agire mentale e materiale, che ci evitano un’eccesiva vicinanza come un’eccessiva lontananza: la prima può portarci a perdere equilibrio emotivo e divenire più vulnerabili per eccesso di investimento; la seconda può renderci incapaci di riconoscere e assumere come nutrimento affettivo-emozionale l’investimento degli altri nei nostri confronti, rendendo ipotrofica o ipostenica la nostra personalità.

Avere rapporti sessuali con una persona con la quale non esiste già una relazione sentimentale[13], compromette o rende difficile l’ottenimento della giusta distanza affettiva per regolare gli investimenti, non solo per renderli coerenti con i sentimenti ma anche per conservare la lucidità necessaria a conoscere realmente l’altra persona[14]. L’intoccabilità ideologica dei rapporti sessuali – che procede di pari passo con la demonizzazione della verginità – occulta all’osservazione un fatto di un’evidenza solare: se fra un uomo e una donna si introduce la pratica dei rapporti sessuali, cambia in entrambi il registro psichico attraverso cui ciascuno si rapporta all’altro.

Per questo fenomeno, e per tutte le altre osservazioni fin qui proposte, vale sempre il dato di comune esperienza per cui la specificità individuale di personalità, carattere, temperamento, sensibilità, cultura, momento della vita e così via, imprime peculiarità proprie, distintive o addirittura uniche, quali variazioni sul tema qui caratterizzato in termini psicologici.

Riportiamo ancora delle osservazioni del nostro presidente che sottolinea come fosse in passato “paradigmatica e cruciale l’assenza di rapporti sessuali in un esercizio psicoadattativo efficace che generava gratificazione senza esporre al rischio di ansia e frustrazioni. Dal Rinascimento al Novecento, il gioco di corteggiamento da salotto poteva arrivare fino a una vera e propria arte dell’incontro secondo un’estetica dell’interazione, che non lasciava nulla al caso e prevedeva ore di studio per recitare i classici, eseguire brani di musica strumentale e trasmettere suggestioni”[15].

L’argomento del “gioco dell’amore platonico” contrapposto al compulsivo e potenzialmente disadattante “gioco del piacere” in una riflessione recente:

“Nella tradizione del passato la distinzione era netta: il raffinato corteggiatore che ammira la bellezza femminile rimanendo a rispettosa distanza e il seduttore senza scrupoli che mira a possedere il corpo delle donne e a trasmettere tutta l’intensità della passione di cui è capace, entrando nell’immaginario collettivo demoniaco del peccatore che trascina con sé anime all’inferno, come Don Giovanni[16], personaggio di fantasia, e Giacomo Casanova, un agente segreto veneziano realmente esistito.

Il corteggiatore giocava usando la galanteria e la poesia, l’adulazione e le blandizie, le suggestioni dell’avventura per far sognare ad occhi aperti le donne e ottenere le simpatie e il ricambio in considerazione, cortesie e casti sorrisi che, in sua assenza, si traducevano in commenti positivi condivisi fra donne capaci di tessere lodi e trame per una buona reputazione. Costoro erano i veri principi dei salotti e, se da giovanissimi erano coccolati dalle donne più anziane che speravano di vederli impalmare le proprie nipoti, da gentiluomini maturi erano apprezzati e richiesti quali narratori di avventure di viaggio o di passatempi curiosi e raffinati. Uno dei tanti esempi di questo prototipo, reso un po’ buffo da una caratterizzazione teatrale volutamente parodistica del personaggio, è il Sigismondo dell’operetta Al cavallino bianco[17].

Il seduttore senza scrupoli, detto eufemisticamente ‘avventuriero’, non godeva di buona fama, se non fra le donne mondane, e in genere non agiva nei salotti, dove tutt’al più si limitava ad adocchiare come vittime le dame compiacenti, ma trovava il modo per incontri privati e spesso clandestini, perché il reato di adulterio era punito con pene severe, senza contare che la flagranza dei recidivi in alcuni ordinamenti comportava la pena di morte.

Il mutamento dei costumi riflesso nei prototipi cinematografici meriterebbe un’analisi dettagliata, che richiederebbe un saggio di ponderose proporzioni; mi limito a ricordare che il colto e raffinato corteggiatore platonico scompare e, venuta a cadere la dimensione giuridica di reato per i peccati sessuali, l’identità di seduttore alla Casanova viene attribuita a innumerevoli personaggi, a partire da James Bond, l’agente segreto 007 di Jan Fleming, mentre la nuova figura sociale del playboy assume contorni sempre più definiti[18] […].

Riassumendo, la perdita del valore universale della struttura simbolica che adottava il paradigma di base della famiglia cristiana ha creato difficoltà di adattamento psicologico, dovute soprattutto al mancato riconoscimento della perdita di una millenaria radice antropologica e al conseguente mancato intervento sulle contraddizioni del tempo presente”[19].

 

Considerazioni Conclusive. Si può dunque parlare di un disagio psicologico originato dalla dissoluzione della struttura simbolica che ha costituito il fondamento antropologico dei rapporti umani per millenni. È necessaria una presa di coscienza collettiva su questa questione.

Ma perché sono così numerose le persone che cercano l’attività sessuale al di fuori del contesto di un rapporto procreativo e la rivendicano quale diritto?

Fra le ragioni più evidenti ed apparenti c’è sicuramente l’adesione ad una concezione edonistica ed egotica della persona, ma a nostro avviso fra i motivi che si situano al di sotto del livello di consapevolezza individuale e sociale, dove è massimo l’effetto a feedforward dei processi biologici, vi sono le ragioni principali: non è in questione solo il provare piacere o l’andare incontro agli effetti di rinforzo del sistema a ricompensa che genera desiderio di ripetere l’esperienza, ma è in gioco un’influenza neurofunzionale complessiva sull’apparato psichico.

Infatti, l’eccitazione sessuale non solo è in grado di mutare l’assetto funzionale del sistema nervoso centrale e dell’organismo nel suo complesso, grazie alla mediazione del sistema nervoso autonomo e delle molecole di segnalazione rilasciate nel sangue, ma è anche in grado di mutare il tono dell’umore, migliorandolo qualitativamente e accrescendo l’ideazione positiva.

Oggi che è stata bandita la parola vizio[20] per le condotte compulsive che danneggiano l’individuo, un’ultima domanda può essere questa: perché in documenti di oltre duemila anni fa i Greci e i Romani parlano di vizio a proposito della ricerca di rapporti sessuali al di fuori del matrimonio?

Possiamo dare una risposta neuroscientifica: perché il sistema a ricompensa cerebrale attivato dall’attività sessuale, se intensamente sollecitato, può innescare meccanismi di ricerca del piacere, dando avvio a cicli di auto-attivazione cui il soggetto non sembra riuscire a sottrarsi, cedendo nel comportamento alla priorità edonica che confligge con l’esercizio delle virtù.

Concludendo, proviamo a proporre le nostre osservazioni all’attenzione dei clinici. Tra le incongruenze del DSM-5, che citiamo anche quale specchio della maldestra ideologizzazione corrente, che minaccia la scientificità della medicina in vari campi e in vari paesi, vi è l’inclusione tra i disturbi mentali della condizione di senza tetto (V60.0), del basso stipendio e di un’insufficiente assicurazione previdenziale (V60.2), come se queste cause sociali di disagio fossero esse stesse patologia psichica. Se questa deriva che trasforma in malattia mentale del soggetto i problemi di iniquità sociale è la direzione che sta prendendo la psichiatria “globale”, non ci facciamo troppe illusioni circa la possibilità che vi sia in quel comitato d’oltreoceano cultura e riflessione intelligente per capire che la dissoluzione della millenaria struttura simbolica dei rapporti di parentela, sulla quale si fondava una parte importante della funzione psico-adattativa individuale, possa essere causa di sofferenza e innesco di catene di problemi individuali e sociali.

 

Le autrici della nota ringraziano il professore Giuseppe Perrella, presidente della società Nazionale di Neuroscienze, per i suggerimenti e per aver messo a disposizione i testi dei suoi scritti. Si invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni & Monica Lanfredini

BM&L-05 marzo 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] La sofferenza da delusione, abbandono, conflitto, tradimento o altre cause di distanza interiore o separazione materiale fra persone che si amano può determinare sindromi acute, che sono state paragonate a crisi di astinenza da sostanze psicotrope. Cosa accade? Un’ipotesi avanzata per primo da Donald Klein, e ripresa di recente, si basa sul riscontro negli innamorati di alti livelli di feniletilammine, composti euforizzanti responsabili dello stato di innamoramento insieme con endorfine, endocannabinoidi, ecc.: nella sofferenza amorosa crolla il tasso ematico di feniletilammine, causando una forma di astinenza. A sostegno dell’ipotesi si nota che gli innamorati sofferenti spesso mangiano molto cioccolato, che contiene feniletilammine, oltre che cannabinoidi ed altre sostanze psicotrope.

[2] Giuseppe Perrella, Seminario sull’Arte del Vivere, BM&L-Italia, Firenze, ottobre 2008.

[3] Come si apprende dal saggio di Fulvio Uccella sul matrimonio, che contempla l’istituto in tutti gli ordinamenti giuridici del mondo, sono elementi costanti l’obbligo di fedeltà e di assistenza reciproca. Ma sono proprio questi due pilastri di responsabilità, che uniscono l’individuale al sociale, e tradizionalmente in psicologia si considerano espressione di maturità dell’Io, ad essere rifiutati da coloro che cercano solo soddisfazione istintuale e convenienza individuale nell’unione.

[4] In realtà, all’interno di organizzazioni politiche militanti, di sette religiose e di altri gruppi sociali poco noti e incidenti sulla società, la sostituzione con ruoli differenti nella denominazione e nel profilo sociale è stata operata, ma è stata sempre poco seguita, in quanto spesso percepita come artificiosa dagli stessi proponenti. Storicamente sono esistite comunità chiuse che hanno realizzato delle utopie con ruoli sociali definiti dalla teoria ideologica, ma non abbiamo notizie sulla realtà psicologica degli interpreti o sugli esiti degli esperimenti.

[5] Un contenuto mentale che oggi, nello studio comparato dell’intelligenza animale, si tende a chiamare “possesso di una teoria della mente”; in realtà si tratta del presumere lo stato della mente di un altro o il tipo di affetti che prova. Una tale abilità si basa su una proprietà della psiche umana – che ha un equivalente dimostrato negli animali più evoluti – di “sintonizzarsi” sullo stato affettivo di un’altra persona; tale proprietà è alla base dell’empatia.

[6] Ossia ciò che il bambino ritiene che gli adulti si aspettino da lui.

[7] Ciò che il bambino si aspetta dagli adulti, che per alcuni anni si identifica con ciò che il bambino si aspetta dalla vita.

[8] Cfr. Giuseppe Perrella, Seminario sull’Arte del Vivere, BM&L-Italia, Firenze, ottobre 2008.

[9] L’aver svincolato l’attività sessuale dalla responsabilità matrimoniale, affermandola come diritto dell’individuo, ha creato numerosi paradossi, dovuti soprattutto alla natura biologica riproduttiva, e quindi legata all’accoppiamento, della sessualità. Come abbiamo dimostrato attraverso le analisi svolte per il seminario sull’Arte del Vivere, la creazione post-moderna dell’oggetto sesso separato dalla procreazione ha consentito l’invenzione di una redditizia categoria commerciale, che va dai siti web, secondi solo a quelli finanziari per rendimento economico, ai pornoshop e all’industria dell’erotismo e della pornografia; e ha contribuito a definire stili di vita in cui la ricerca del piacere sessuale con partner sessuali multipli fino a tarda età determina un volume di spesa in abbigliamento, prodotti di bellezza, chirurgia estetica, viaggi, frequentazione di spettacoli e locali vari, che non ha equivalenti nel passato.

[10] Il potere evocativo e l’effettività psicologica della dimensione simbolica hanno costituito concetti chiave nella visione della mente proposta a Linda Faye Lehman da Giuseppe Perrella all’inizio del terzo millennio, gettando le basi per la fondazione della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”.

[11] Si veda nella Bibbia il libro di Osea. Nella Prima Lettera ai Corinzi, San Paolo mostra di considerare la condizione di fidanzamento ebraico anche un periodo per decidere se consacrarsi esclusivamente al Signore; dice infatti: “Colui che sposa la sua vergine fa bene, e chi non la sposa fa meglio” (I Corinzi 7, 38).

[12] Nel classico fidanzamento romantico, la rottura del rapporto idealizzato in cui ogni aspetto della vita comune appartiene a una prefigurazione immaginaria, è vissuta come la perdita di un sogno, una frustrazione, una delusione che in passato coincideva spesso con la transizione da un modo di sentire adolescenziale ad un’affettività più matura. Questi elementi potenzialmente sussistono, ma l’idealizzazione oggi è ostacolata dal precoce avvio all’attività sessuale – concepito da molti adulti come un moderno rito di passaggio dei propri figli – che inconsapevolmente induce un elemento di uso strumentale del rapporto con l’altro.

[13] Con il suo definito grado di investimento affettivo.

[14] Lichtenberg, con una metafora astronomica, diceva: lo determineremo all’afelio, perché al perielio il calore del sole potrebbe farlo sciogliere.

[15] Cfr. Giuseppe Perrella, Seminario sull’Arte del Vivere, BM&L-Italia, Firenze, novembre 2018.

[16] Don Giovanni Tenorio o sia il convitato di pietra (1787), opera lirica di Bertati e Gazzaniga, fu tratta da L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra di Tirso de Molina; da questa opera Lorenzo Da Ponte trasse il libretto del Don Giovanni musicato da Wolfgang Amadeus Mozart, il cui titolo originale era Il dissoluto punito.

[17] Il personaggio canta così: “È Sigismondo il più elegante e il più giocondo di quanti al mondo fanno il nobile mestier di seduttori, rubacuori e gabbamondo e alle fanciulle turba i sogni ed i pensier”.

[18] Un playboy è il personaggio interpretato nella fiction televisiva Capri da Sergio Assisi. Gli autori offrono interessanti spunti proponendo nella trama fatti di realtà che costringono il personaggio, come accade nella vita, a patire pene d’amore, sofferenza disadattante, perdita del rapporto di coppia, crisi depressiva e così via, perché dare la priorità alla ricerca del piacere sessuale, incuranti dei sentimenti delle persone, innesca sofferenze a catena.

[19] Giuseppe Perrella, intervento al Seminario sull’Arte del Vivere del 26 febbraio 2022.

[20] Non è cancellando la parola denominante, ossia promuovendo un diniego collettivo, che si risolve il problema.